Statuti marittimi, «il fulcro dei migliori anni della Repubblica di Trani»
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Su «Il giornale di Trani» ci siamo recentemente occupati dell’imponente lavoro tipografico che rappresenta il terzo e, sicuramente, più importante – per il momento – passaggio della «Collana di studi tranesi» promossa dalla sezione cittadina della Società di storia patria per la Puglia, e che vede la luce grazie ai tipi di Landriscina editore, con il prezioso valore aggiunto dei disegni di Nicola Nuzzolese.
Si tratta de «La storia di Trani», la grande opera che il professor Raffaello Piracci lasciò incompiuta e che una serie di appassionati cultori della sua produzione e, ovviamente, della storia della città, hanno meritoriamente portato a termine.
Per quanto riguarda gli «Ordinamenta et consueturo maris», essi rappresentano, secondo quanto Raffaello Piracci scrive nella parte iniziale del suo libro (pagina 75), «il fulcro dei migliori anni della Repubblica tranese. Dal 1043 al 1073, anno della definitiva sua conquista normanna – si legge nell’opera dell’indimenticabile direttore de “Il tranesiere” – Trani vive a libero comune, a libera repubblica marinara, possiamo dire, sotto il dominio nominale, talora neanche nominale di Bisanzio, analogamente a Venezia, Amalfi, Pisa ed altre libere città marittime.
A conferma di tale contesto di prestigio della città nel cuore del secolo XI s’innestano altri aspetti di raro splendore, tra cui il ruolo di protagonista nella vita politica e del contrasto religioso fra l’Oriente e l’Occidente del suo arcivescovo Giovanni (… 1053-1059) e l’organizzazione della sua marineria, che culminò negli Statuti marittimi (1063). Infine, la maestosa cattedrale, iniziata alla fine del secolo, ne riassume lo spirito comunitario ed imprenditoriale e la floridità economica, caratteristiche tutte confacenti a città ben altro che mediocre, bensì dal ruolo cospicuo di cui dimostra di sentirti conscia (…).
Ma il massimo evento tranese del secolo XI – e a dire il vero di tutta la storia della città – è rappresentato dagli “Ordinamenta et consuetudo maris edita per consules civitatis Trani”, chiamati più comunemente gli Statuti Marittimi di Trani.
Non pochi elementi storici, accanto a quelli di ordine analogico con altre città marittime, autorizzano l’induzione che la marineria tranese abbia da sempre avuto una organizzazione sua propria, magari anche distinta dal reggimento municipale. La stessa impresa del trafugamento da Brindisi del corpo di San Leucio nel 663 se non è creduta leggendaria, può denotare sin da allora un’iniziativa dei marinai tranesi che non poteva essere frutto di isolata improvvisazione. In una organizzazione sempre più rispondente alle esigenze della propria attività, nell’associazione dei marinai tranesi, che eleggevano i propri consoli, va individuata la genesi degli Statuti Marittimi. Nel 1063 i “consoli in arte del mare” Angelo de Bramo, Simone de Brado e Nicola De Roggiero li promulgarono mettendo per iscritto le consuetudini marittime, che fin da antico tempo erano in vigore su tutta la costa pugliese, dal Gargano a Brindisi (“golfo adriano”)
Gli Statuti Marittimi Trani costituiscono un codice marittimo, il primo codice marittimo del mondo, allo stato attuale delle conoscenze, in cui venivano fissate per iscritto consuetudini già in uso presso i marinai tranesi sin dai secoli precedenti di attività commerciale sui mari.
Essi hanno un particolare valore:
a) Nella storia del diritto marittimo italiano ed anche europeo e mondiale, perché sono anteriori ad altri ordinamenti del genere che contengono originali concetti giuridici, sociali e sindacali precursori del pensiero moderno.
b) Nella storia della lingua italiana, per gli studi linguistici di cui possono essere oggetto nel seguire l’evoluzione della lingua volgare.
c) Nella storia delle condizioni politiche ed economiche di Trani del secolo XI. Come si desume anche dagli altri eventi tranesi dell’epoca, gli Statuti Marittimi confermano un lungo periodo di autonomia politica di Trani, dal 1042 al 1073, perché sono promulgati non in nome di un soprano o suo rappresentante, bizantino o normanno che fosse, ma in nome dei tre consuli in arte del mare. L’esigenza di regolamentare con leggi scritte la vasta e complicata materia dei traffici marittimi denuncia una notevole floridità delle condizioni commerciali ed economiche di Trani in questo periodo. Infatti le sue relazioni commerciali erano fittissime con le Repubbliche Marinare ed i comuni per importanti ricchi d’Italia, e si estendevano all’opposta sponda adriatica, e nell’Oriente».
Poco più avanti, e segnatamente alla pagina 91, l’opera richiama un articolo che Piracci pubblicò in due numeri consecutivi del Tranesiere, fra i mesi di settembre ed ottobre del 1963, anno in cui ricorreva il nono centenario degli “Ordinamenta”. Il pregio di questo scritto è nell’acume con cu si affronta la doppia questione del “ritrovamento” delle leggi del mare e dell’attribuzione della loro data.
Ebbene, quasi a dispetto del gran fulgore che la città aveva attraversato in quegli anni, «fino al 1827 – riferisce Piracci nella sua opera – i tranesi ignoravano, o piuttosto avevano dimenticato, l’esistenza degli Statuti Marittimi. La loro scoperta, anzi la loro riscoperta, fu opera di Giovanni Maria Pardessus, Professore di Diritto Commerciale all’Università di Parigi.
Le cose andarono così.
Il Pardessus era intento alla preparazione di una sua colossale opera (…) che poi fu pubblicata nel 1828, e pertanto stava conducendo ricerche nei vari archivi, quand’ecco che nel volume “Statuta Firmanorum (Firmii apud Sertorium de Montibus 1589) trovò anche inclusi gli “Ordinamenta et Consuetudo Maris edita per la Consules Civitatis Trani!
Era il 1827.
In seguito a tale inaspettata scoperta il Pardessus ritenne conveniente rivolgersi a Trani per ottenere chiarimenti o, quanto meglio notizie, sulla copia originale degli Ordinamenta.
Non fu possibile trovarli e la cosa non deve destare alcuna meraviglia e nessun sospetto, anche se a Trani si conservano tuttora documenti del IX secolo, perché si conoscono le sfortunate vicissitudini di moltissimi preziosi scritti, distrutti inseguita ad assalti di invasori, pestilenze ed altri disastri. Ma, dopo la rivelazione del Pardessus, gli studiosi tranesi, seguiti da quelli tutto il mondo, non potettero più restare nei loro panni! Dalla sorpresa si passò all’entusiasmo, che si profuse nelle ricerche, negli studi e nelle polemiche.
Nel frattempo lo stesso Pardessus rintraccio un’altra edizione degli Ordinamenta, di poco anteriore a quella fermana, contenuta negli Statuta Terrae Appignani (Venetiis 1507).
Sarebbe un controsenso accingersi a celebrare il nono centenario della promulgazione degli Statuti Marittimi di Trani senza prestare fede alla loro data, 1063. Ma sarebbe anche irriverente e piccino verso tanti illustri nomi tacere di quelli che si sono schierati per un’altra data».
Pardessus era a capo di coloro che si sono detti a favore del 1063. Insieme con lui, anche Lorenzo Festa Campanile, Nicola Alianelli e Benedetto Ronchi. Fra i contrari a tale data, si va da Luigi Volpicella a Francesco Samarelli. Date diverse sono state attribuite da altri storici e studiosi.
Piracci dichiara di non volere tirare fuori «nessun argomento, né vecchio né nuovo, neppure a favore della data dei 1063 (…) Difenderla sarebbe quasi un metterla in dubbio e comunque esulerebbe dallo scopo della presente pubblicazione, che è quello soprattutto di fare conoscere il testo degli Statuti Marittimi. Ma come obiettivamente si sono menzionati i nomi sia dei fautori che degli oppositori della data, con altrettanta obiettività si sente il bisogno di aggiungere che questi ultimi non sempre sono stati obiettivi ma, se Tranesi, si sono lasciati impressionare dal timore di sciovinismo, se non tranesi hanno voluto nascondere sotto gli speciosi orpelli delle chiose e delle dotte citazioni una ingiustificata avversione, o una giustificatissima gelosia verso la Città degli Statuti Marittimi!».
Domani pubblicheremo, sempre traendoli dallo stesso volume, i trentadue articoli delle storiche «Leggi del mare» di Trani.